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Se ne parla ancora poco, ma, quando spiego di cosa si tratta, tutti comprendono esattamente il messaggio che sto comunicando. Risuona dentro. La Sindrome del gemello mai nato è quell’intreccio di sensazioni di vuoto, senso di abbandono, insoddisfazione e continua ricerca, che ci spinge a spostarci di continuo, come nomadi alla ricerca dell’acqua in un deserto emotivo senza fine. È quel motore sempre acceso che ronza, anche quando c’è silenzio totale; è la sensazione di non essere soli, di non essere mai stati soli e di non poter mai più esserlo, anche quando soli lo siamo davvero.

Concepiti, secondo un bizzarro disegno di Madre Natura, quasi mai soli, nasciamo spesso come figli unici di un utero generoso che ci accoglie e ci conforta, ma che nasconde un segreto magico e insospettabile: nello spazio sacro del nostro primo tempio di vita, infatti, condividiamo le nostre prime esperienze e ogni forma di apprendimento neurologico, epidermico e percettivo con un fratello che quasi mai vedrà la luce.

All’incirca entro il terzo mese di gestazione, quella stessa Madre Natura che ci aveva elargito a piene mani la possibilità di vivere non soli, stringe il suo pugno, riduce gli spazi e sceglie a caso chi resterà come unico nascituro a completare la sua crescita per trasformarsi in feto. Di colpo restiamo soli. All’improvviso qualcosa cambia. Il gioco della vita cambia. Il grande tappeto di stelle del nostro cielo perde una luce, per noi così preziosa da determinare per sempre il desiderio di ritrovarla; nella penombra del nostro tempio restiamo a pregare isolati, fino al giorno in cui vedremo la grande luce della nascita.

Questa esperienza biologica e naturale, nel suo manifestarsi, imprime in noi un nucleo di reazioni: alla percezione di quel primo abbandono, memorizziamo un’esperienza che si tradurrà durante la vita nella personale modalità reattiva gemellare istintiva a ogni forma di abbandono e perdita che entrerà in risonanza con quel primo modello programmante. Nel corso della vita, avremo una nostra personale modalità biologica di reazione che è figlia di un’esperienza antica. Essa è formata dalla somma divina di un numero incalcolabile di possibilità reattive composte, a loro volta, da sfumature emozionali fra le più incredibili, i cui colori partono dalla tonalità della lotta fino a quelle della fuga. Va ricordato che la stessa modalità reattiva agirà nel corpo e nell’anima di nostro fratello nel momento del trapasso e lo accompagnerà nel suo Bardo.

Siamo eredi, messaggeri e testimoni di un bagaglio emotivo davvero molto denso. Nel momento magico della fusione di queste reazioni, poiché conteniamo anche l’esperienza vitale di nostro fratello, prenderà forma il nostro personale big bang. L’universo ci esploderà dentro e ne assorbiremo ogni pre-potenza. La nostra vita di embrioni, da quel momento in poi, sarà indotta per sempre a reagire a quel primo imprinting uterino. Chi saremo nella vita è deciso lì, in quello spazio sacro aperto solo a noi, di cui l’unico testimone è stato quel fratello che ci ha fatto compagnia per ore, giorni o settimane. Da quel momento in avanti, ogni nostra scelta si manifesterà per ricreare la magia del vivere insieme a lui: dalla ricerca del partner, sia esso di giochi o di vita, alla fondazione della coppia o del nucleo di socializzazione familiare e lavorativa.

Caterina Civallero e Maria Luisa Rossi, autrici dei libri su La Sindrome del gemello, intervistate da Rosa Tumolo.

Se ci osservassimo, se ci guardassimo intorno, se frugassimo nel cassetto dei ricordi, troveremmo sicuramente l’immagine di una vita spesa alla ricerca di quella sensazione di completezza. Ognuno di noi ricrea e reitera un modulo di accorpamento che nasce con una modalità seduttiva e un atteggiamento che ci sono tipici: uno stile unico e personale che guida, come un timone, ogni storia di amicizia e di vita di coppia; un’impronta che ritroviamo anche nel rapporto con i nostri figli e i nostri animali domestici.

Abbiamo bisogno, per sentirci vivi, di ricreare quel senso di comunione primordiale che, quando manca, ci dilania fino a farci mancare l’aria. Nel tentativo di ricreare questo stato di pace interiore, quando passiamo da una relazione all’altra, quando un’amicizia si guasta, quando avviene un distacco viviamo l’inferno assordante, o silenzioso, del nostro primo abbandono: quello avvenuto fra noi e nostro fratello. Dalla paralisi emotiva alla violenza estrema manifestata con la lotta autolesionistica, parte un viaggio caleidoscopico alla ricerca del completare sé stessi, quasi come se Madre Natura, agendo d’anticipo, avesse inventato un modo perpetuo per impedire all’essere umano di restare solo e per garantirsi che l’interazione reciproca fra individui mai abbia fine.

Sicuramente ognuno di noi ha vissuto questo dolore emotivo, intenso e ben definito, che è il sentirsi soli e abbandonati. È una sensazione che molte persone spiegherebbero con un senso di soffocamento, di angoscia, di panico: quell’insieme di paure che sia tu che il fratello morente avete condiviso nel momento della perdita.

Vivere un lutto e testimoniare un lutto sono momenti sacri. Nascita e morte segnano da sempre i margini della pagina bianca della nostra vita: è un susseguirsi eterno di momenti vitali che la natura stessa ci rammenta anche attraverso l’alba e il tramonto, attraverso l’inizio e la fine di ogni cosa, persino la più impercettibile.

È così che avviene l’allenamento della nostra anima. Ogni attimo di vita ci prepara al grande incontro.

La Sindrome del gemello mai nato, oggi, è manifestazione feroce di un disagio che viene gestito in una solitudine disarmante. La società frenetica e autistica che ci siamo costruiti addosso, ci allontana dalla possibilità naturale di poterla affrontare con naturalezza. Contatti virtuali, famiglie poco numerose e spesso disgregate, un tessuto sociale a volte inconsistente e ostile, ci impediscono di proiettare sull’altro il nostro dolore e ci allontanano dalla possibilità di dargli un volto, una consistenza.

La sofferenza da sindrome del gemello mai nato è in aumento. Sempre più persone ne soffrono. Soprattutto i bambini.

Prendere contatto con questo argomento informa e dà forma alla nostra identità; offre una possibilità di intervento.

La conoscenza di questa importante parte del Sé ci conduce alla presa di coscienza, la quale apre la porta alla possibilità di autoguarirci, trasformando l’esperienza stessa nella medicina giusta per la nostra crescita evolutiva.

Articolo di Caterina Civallero

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CATERINA CIVALLERO Consulente alimentare, facilitatrice in Psicogenealogia junghiana, scrittrice

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