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Un caro amico mi ha regalato un libro molto particolare: si intitola La giustizia va all’inferno di Anna Cellamaro. Non è un libro recente, ma comprendo che don Luca mi fa dono di questo testo per descrivermi come la vita carceraria corregge, punteggia ed evidenzia le frasi più importanti della sua giornata.

“Ho terminato da un paio di minuti la lettura del libro che mi hai regalato.

Ho capito.

Ho apprezzato il tuo gesto, il tuo desiderio di mettermi a parte di come si svolge la tua vita spesa in carcere a insegnare ai detenuti la grammatica, la logica, la filosofia, la storia, tutti tentativi intensi e concreti, animati dal desiderio di riabilitarli alla libertà.

Ti sono grata, condividere è una delle gioie più belle della vita.

Ho letto con attenzione il racconto e mi sono concentrata sulla descrizione della vita del carcere pensandoti mentre cerchi di portare un po’ di gioia, umanità e speranza, in un luogo colmo di sofferenza, dove non sempre c’è posto sufficiente per farci entrare altro.

Riconosco la grande capacità narrativa dell’autrice, abilità che utilizza al meglio per descrivere l’anatomia e la fisiologia di questo grande organismo vivente chiamato carcere. Elegante la minuziosa autopsia del suo apparato circolatorio e perfetto il dipanarsi di ogni fase dell’attività del suo sistema digestivo. Paragonarlo al corpo di una bestia, la cui testa non sempre è visibile, mi pare una buona metafora per dar vita alla storia di Primo, ingoiato, digerito, trasformato e poi rinato dalla peristalsi delle sue viscere.

Il ruolo di un educatore, e molto probabilmente quello di un prete insegnante, pare un viaggio last minute con formula roulette di sola andata dentro l’animo umano.

Nessuna certezza di partire davvero e poche probabilità di giungere a destinazione.

Penso al tuo ruolo in tutto questo e sento l’impegno e la fiducia profonda di ogni gesto rivolto a quella sofferenza che si affaccia sulla vita di coloro che sono detenuti da noi accusatori.

Un piccolo gesto, un errore e le posizioni si invertono. Inesorabilmente chiunque può diventare prigioniero di un meccanismo che stritola e trasforma. Sono felice di comprendere che la galera non sia un’entità da subire soltanto.

Leggo che per Beppe è una casa confortante cui fare ritorno, per altri è il teatro di un commercio di oggetti, è la possibilità di essere qualcuno, di essere temuto e quindi riconosciuto, di esibire un potere personale; per Primo diventa un trampolino di lancio, un salto per arrivare sull’altra sponda, e per Dialo una tomba in cui nascondere la vergogna l’umiliazione e l’impotenza.

Per tutti gli altri uno specchio in cui guardarsi, con compassione, in silenzio, senza giudizio.

Nella seconda parte del racconto, quando la data di scarcerazione di uno dei protagonisti si avvicina, la narrazione, attraverso le parole dell’autrice, prende velocità. Il ritmo accelera. Brevemente Anna Cellamaro si sofferma sullo stato d’animo di Primo, che ora libero, beve un caffè nel centro della città guardando la gente che passeggia e che articola il traffico di tutti i giorni. Quando si ha chiaro dove dirigersi, quando è chiara la meta, spesso si corre per poterla raggiungere. Rimprovero la sua brusca e repentina smania di raggiungere il Mali, ma come non essere ansiosi di portare a termine il compito che ti è sfuggito di mano?

Il ruolo dell’educatrice, alter ego dell’autrice, descrive come il passare attraverso se stessi per giungere alla libertà permette di poter contattare e comunicare finalmente con gli altri. Netta la differenza fra il dentro e il fuori, e di come la consapevolezza di essere liberi e di trovarsi davanti a quegli altri così simili al nostro essere stati, prima di comprendere, ci insegni, davvero, a conoscere la distanza che ci aveva separato dal nostro sé.

In questo gioco di scambio che oggi è il tuo lavoro io rivedo quelle parole che scrissi un anno fa fra le pagine di Amapola e la finestra magica, un racconto che recentemente ho pubblicato: ‘Siamo tutti anelli di una catena, perle di una collana, passi di un cammino. Abbiamo tutti una meta da raggiungere e per tutti il viaggio può essere faticoso alle volte. Siamo una carovana in viaggio, ognuno con la sua storia da raccontare intorno al fuoco la sera’.

Ti auguro con queste parole Buon inizio d’anno, perché a Settembre riparte la scuola e per te la possibilità di insegnare a chi è dentro di poter uscire, un domani, a testa alta”.

Caterina Civallero

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