TRATTO DA CERTE COSE CAPITANO SOLO A TE:

In cucina Bobby mi guarda desolato. Non sa più con cosa giocare, trascorre il suo tempo nella cuccia di panno e si è messo a guardare la TV. Così non va. Devo trovare una soluzione. Domani lo porto a Rockaway Beach, ha bisogno di correre e di stare in mezzo alla gente e io di distrarmi. Sono certa che vedere il mare gli farà bene e gioverà anche a me.

Alla radio stanno trasmettendo un brano che non ho mai sentito, le parole mi incuriosiscono. Apro il cellulare e con Shazam cerco il titolo: Japanese Boy di Aneka. Cerco sul web: anno di pubblicazione maggio 1981, ascolto e rido. Sono davvero divertita. Spengo la radio e la riascolto dal cellulare:

“Ha detto che mi amava, non sarebbe mai andato
He said that he loved me, never would go

Oh oh oh oh
Oh oh, oh oh*

Bobby mi guarda e scodinzola, lo accarezzo e lo prendo in braccio, poi balliamo insieme per un po’ la curiosa one-hit wonder che è piovuta dal nulla a dire ciò che io non avrei saputo spiegare meglio. Con quel ritmo nelle orecchie passo il panno sulle mensole della libreria e mi sembra di essere tornata ragazza. Sono davvero estasiata da questo pomeriggio che esulta di segnali e doni. Imparo presto le parole e canticchio fino a che non sento bussare alla porta. Spengo il cellulare, mi rimetto a posto i capelli e vado a vedere chi è.

Dallo spioncino vedo il muso paonazzo del mio vicino del piano di sotto. Sembra ancora più grasso di com’è; mi viene da ridere e cerco di darmi un contegno mentre gli apro. Indossa una canottiera verde e un paio di pantaloni gialli; le pantofole sono dello stesso colore della canottiera. Con quella faccia rossa sembra un’Ara dalle ali verdi, cerco di trattenere il riso e mi nascondo il viso fra le mani accennando un finto colpo di tosse.

Mi sorride con aria beata e mi domanda se mi manca nulla. Lo guardo incuriosita e mi mostra una specie di quaderno. Me lo porge, è uno spartito musicale. Lo guardo come se non lo avessi mai visto prima, infatti è così, ma qualcosa mi spinge a prendere tempo. Il mio vicino afferma che sia caduto dal mio terrazzo e che per poco non andava a finire per strada “sa il vento com’è da queste parti” aggiunge. “Già, il vento” dico io, e allora lo ringrazio e gli chiedo se vuole bere qualcosa, ma lui pare che abbia la cena in forno e non la vuole bruciare.

“Certo, certo, sì, sarà per un’altra volta. Grazie” e chiudo la porta.

Con il mio spartito vado in salotto e mi siedo in punta al divano.

Lo guardo e vedo che c’è scritto a mano qualcosa: 1967.

Lo apro e trovo proprio quello che non sono pronta a comprendere. È lo spartito di un brano, ma non saprei dire di cosa si tratti.

Probabilmente sarà un pezzo di classica, proprio non è il mio genere.

Provo a rispolverare vecchi ricordi musicali ma niente da fare. Peggio dell’arabo. Non ci capisco nulla.

Sfoglio tutto lo spartito fino in fondo, nulla, non ci sono appunti, nessun indizio. Chissà di chi è, e soprattutto cos’è.

Guardo meglio sfogliandolo al contrario. Niente da fare. Non capisco cosa farci con una cosa così.

Ci ragiono su e decido di lasciare lo spartito sul divano. Torno in cucina e mi preparo una tazza di tè; bevo e guardo fuori dalla finestra. Bobby è venuto a reclamare la merenda. Apro la dispensa e prendo la scatola dei suoi biscotti, la tengo vicino ai miei. Ne prendo due e penso che un giorno o l’altro mi sbaglierò e finirà che li mangerò anche io. Sono molto distratta e su certe cose devo prestare più attenzione. Nel mio lavoro sono molto precisa ma si sa, un eccesso di precisione ha sempre un contraltare. Io sono sbadata, devo stare attenta a non spostarmi dalla cucina quando metto su l’acqua per il tè perché se esco dalla stanza tre secondi dopo mi dimentico di cosa stavo facendo e sono capace di mettermi a fare altro e fare esplodere la pentola. Ho fatto sostituire la piastra elettrica apposta e ho fatto applicare temporizzatori ovunque. La mia casa sembra un’orologeria o una bomba pronta a scoppiare.

In casa è tutto un ticchettare e un lampeggiare. Ho biglietti appesi ovunque e mazzi di chiavi sparpagliati per mezza Portland. Gli amici sanno che la mia passione preferita è restare chiusa fuori casa e spesso esco senza cellulare così devo inventarmi milioni di stratagemmi per trovare i loro numeri e avvertirli. Li ho trascritti su rubriche in carta e seminate in garage, in auto e, nessuno lo sa, ne ho nascosta una nella plafoniera dell’ascensore di emergenza.

Lo so, sarebbe più facile stare attenta che seminare la casa e la sua periferia di appigli, ma è più forte di me. Non so stare attenta, e forse in realtà mi piace proprio non esserlo.

Mentre cerco di non dimenticare la spazzatura nel lavandino, l’ho messa lì per non sporcare in terra, mi viene in mente Governor. Fantastico, sicuramente può aiutarmi.

Prendo lo spartito, saluto Bobby, prendo le chiavi e scendo. La spazzatura è rimasta nel lavandino, la porterò giù più tardi.

Northwest, 23rd Avenue è la mia Marrakech. Se ti serve qualcosa qui lo puoi trovare. Ci sono centinaia di negozi e un assortimento di generi e merci da fare invidia a mezzo mondo. La chiamano Governor anche se si chiama Laura, e non sono certa di ricordare tutta la storia che è legata al suo nome, ma ha a che fare con la governatrice dell’Oregon Kate Brown e la sua elezione del 2015. Pare che anche Laura si sia trovata a ricoprire una carica pressappoco nello stesso periodo proprio per via degli affari poco leciti del suo titolare. Di colpo da garzone si è trovata padrone e chiamarla così è il modo che gli amici hanno scelto per ricordarle di non montarsi la testa. È una delle Interior designer più richieste in tutto il Nord America e ti basta un’occhiata al suo ufficio per capire che la sua fama è più che meritata. L’ho conosciuta a una festa solo due mesi fa ma siamo subito entrate in confidenza e sono certa che saprà aiutarmi: lei adora la musica. Suo figlio lavora presso la Portland Youth Philharmonic.

Suono, salgo, e mi riceve subito.

Le spiego che ho bisogno di sapere cosa ci sia scritto nello spartito e mento quando le dico che l’ho trovato fra le cose di mia madre.

Laura lo sfoglia e mi guarda perplessa. Abbassa gli occhiali poi preme un bottone e chiama la segretaria a cui chiede di scansionare le pagine.

Dieci minuti dopo la ragazza torna con il caffè e il mio spartito.

Laura digita sulla tastiera del computer, si collega a internet, cerca qualcosa, poi gira il monitor verso di me e dice: “Ecco qua cara. Dovrebbe essere questa”.

La guardo stupita ed evito di chiederle come abbia fatto, certe cose semplici io non le so fare ma sono a disagio quando devo ammettere l’evidenza e allora fingo di essere sbadata, e mi salvo.

Leggo le parole e cerco di trattenere un sorriso. Leggo il testo che qualche programma ha tradotto in un batter d’occhio e faccio finta di non essere coinvolta con la questione. Nel frattempo Laura armeggia sul suo cellulare e mi fa ascoltare una canzone. “Dovrebbe essere questa” ripete.

Annuisco.

“Sì, a mia madre piaceva tanto”. Laura sorride e sembra essersela bevuta.

Le chiedo se può inviarmi il file alla mia casella di posta e mezzo secondo dopo ho la traduzione del brano Don’t Leave Me This Way.

Torno a casa e mi piazzo davanti al monitor del computer, leggo meglio il testo e sprofondo nella poltrona.

Non lasciarmi in questo modo
non potrei sopravvivere, non potrei rimanere viva senza il tuo amore
oh tesoro, non lasciarmi in questo modo, no
non potrei esistere, sicuramente mi mancherebbero i tuoi teneri baci
non lasciarmi in questo modo

oh tesoro! il mio cuore è pieno d’amore e di desiderio per te
adesso vieni qui e fa’ quel che devi fare

hai appiccato questo incendio nella mia anima
adesso non riesci a vedere che sta bruciando senza controllo?
avanti, soddisfa i miei bisogni
perché solo il tuo meraviglioso amore può liberarmi

non lasciarmi in questo modo, no
non capisci che sono ai tuoi comandi?
oh tesoro per favore, per favore, non lasciarmi in questo modo
no, tesoro

non lasciarmi in questo modo, no
non potrei sopravvivere, non potrei rimanere viva senza il tuo amore
tesoro, non lasciarmi in questo modo

….

Non so cosa pensare, Yuki non scrive, e non risponde ai miei messaggi, ma è chiaro che sa come comunicare con me. Guardo Bobby e gli chiedo: “Secondo te mi cercherà ancora?”.

Tratto dal mio libro Certe cose capitano solo a te: LEGGI L’ANTEPRIMA

Il libro fa parte della collana editoriale La famiglia Millot di cui è stato pubblicato Quando piove sui fiori (2024)

CATERINA CIVALLERO

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*“Ha detto che mi amava, non sarebbe mai andato
He said that he loved me, never would go

Oh oh oh oh
Oh oh, oh oh

Ora scopro di essere seduto qui da solo
Now I find I'm sitting here on my own

Oh oh oh oh
Oh oh, oh oh

È stato qualcosa che ho detto o fatto
Was it something I've said or done

Ciò gli ha fatto fare le valigie e correre
That made him pack his bags up and run

Potrebbe essere un altro che ha trovato
Could it be another he's found

Sta rompendo la casa felice
It's breaking up the happy home

Signor, puoi dirmi dove è andato il mio amore
Mister can you tell me where my love has gone

Lui è un ragazzo giapponese
He's a Japanese boy

Mi sono svegliato una mattina e il mio amore era sparito
I woke up one morning and my love was gone

Oh mio ragazzo giapponese
Oh, my Japanese boy

Ooh, mi manca il mio ragazzo giapponese
Ooh, I miss my Japanese boy

Le persone chiedono di lui ogni giorno
People ask about him every day

Oh oh oh oh
Oh oh, oh oh

Non so cosa dire loro, cosa posso dire
Don't know what to tell them, what can I say

Oh oh oh oh
Oh oh, oh oh

Se solo mi scrivesse o chiamasse
If only he would write me or call

Una parola di spiegazione, tutto qui
A word of explanation, that's all

Mi impedirebbe di arrampicarmi sul muro
It would stop me climbing the wall

Sta rompendo la casa felice
It's breaking up the happy home

Signor, puoi dirmi dove è andato il mio amore
Mister can you tell me where my love has gone

Lui è un ragazzo giapponese
He's a Japanese boy

Mi sono svegliato una mattina e il mio amore era sparito
I woke up one morning and my love was gone

Oh mio ragazzo giapponese
Oh, my Japanese boy

Ooh, mi manca il mio ragazzo giapponese
Ooh, I miss my Japanese boy